A Valeria piace:

il borbottio della caffettiera al mattino

il campanello di casa suonato da un’amica che arriva inaspettatamente

il glu glu glu dell’acqua versata in un bicchiere

il rumore delle foglie in autunno quando cadono nel bosco

le peste fragranti nella neve fresca

le risate di un bambino piccolo

le tapparelle che si alzano

Il rumore che fa il vento

il cantare del motore della Peugeut del nonno Gigi

il crepitio della legna nel camino

il braccio del giradischi che si mette in azione

il russare leggero del mio gatto Malausséne

le voci registrate dei miei genitori su una vecchissima audiocassetta

la punta della matita su un foglio

il nitrito di un cavallo

il frizzare di una compressa effervescente nell’acqua

il ticchettare sulla tastiera

lo sfrigolio delle patate nell’olio

l’acqua che scorre nella doccia

le fusa di Selva

il rumore delle dita che impastano

la ventola del forno

il brontolio dello stomaco

il click dell’otturatore della macchina fotografica

Questi sono solo alcuni dei suoni che mi piacciono (potrei proseguire a lungo…) e che sono in grado di evocare in me emozioni, anche forti. Se penso ad un suono quello si porta appresso un corollario di immagini e odori e mi accorgo che negli ultimi anni quando faccio un viaggio preferisco registrare suoni piuttosto che scattare fotografie. E’ come se così facendo mi garantissi un ricordo più vivido dell’esperienza.

Penso all’ultimo viaggio fatto in Marocco, a gennaio 2020: in piazza Moulaiy Hassan, affacciata sull’oceano, con le cuffie nelle orecchie ascoltavo i gabbiani, le onde sugli scogli, i richiami lontani dei pescatori del porto antico, il suonatore di piffero un po’ stonato, il chiacchierio dei turisti e il mio stesso respiro. Se riascolto la registrazione di quel momento vengo investita dalla luce, dall’odore del pesce grigliato mescolato a quello dolce delle sfenj, le ciambelline fritte reperibili ovunque.

Perché il suono è così: evocativo.

Forse perché il senso dell’udito si sviluppa nel feto già a partire dall’ottava settimana di gestazione (e quindi batte alla grande la vista che si perfeziona solo dopo la nascita) e agisce sul nostro inconscio in modo forse più ancestrale e “sincero”. Nel tempo ho collezionato suoni (li registro con uno Zoom nh4) ed ora costituiscono la mia personale biblioteca sonora: la incremento spesso, la consulto all’occorrenza e scelgo da lì il materiale migliore per arricchire le mie registrazioni, i podcast che produco e le ambientazioni sonore di alcuni spettacoli teatrali. Talvolta mi piace semplicemente stare ad ascoltare attraverso le cuffie, senza necessariamente registrarli, i suoni ambientali che attraverso il microfono risultano amplificati: ho l’impressione di immergermi in un mondo segreto, un mondo a più dimensioni che sta sotto la superficie, oltre l’apparenza.

Share This